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C’è qualcosa di profondamente simbolico nel gesto di affacciarsi a una finestra. È un gesto filosofico.
Nessuno si affaccia senza il “rischio” di esporsi riconoscendo il proprio limite e l’inquietudine del volgersi verso ciò che è fuori dal Sè e che ancora non è noto.

Ma più profondamente, affacciarsi è mettersi in contatto con la temporalità.

Stessa casa, stessa finestra, lo stesso scorcio sulla strada ma due tempi differenti.
Un passato, ormai molto lontano, per una allora giovanissima donna ancora imprecisa nei progetti ma colma di energie e un presente per un’altra donna, allora solida e retta nelle idee e nella postura, adesso tanto anziana.

La giovane si affacciava e vedeva il possibile, ricercava la sfida e il senso del suo agire, provava l’urgenza di trovare parole e orizzonti.
La finestra era per lei apertura, possibilità, sogno.

L’anziana, oggi, torna invece alla finestra come si torna a una memoria custodita.
Ciò che osserva è ormai archivio: ogni movimento è un ricordo, è ciò che è stato, ogni ombra un’assenza.
Il suo sguardo è rivolto indietro, non per nostalgia, ma per chiudere un cerchio.

In questo istante, non si sa chi delle due sia la più affaticata dalla Vita ma forse, la ex giovanissima di allora, percepisce più lucidamente la responsabilità di abitare il tempo, accompagnando l’anziana, consapevole che le nostre finestre non sono mai solo nostre, ma parti di un fluire di esistenze.

Photo by Mara Triplete Bonazzi

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